LONGO E' LO CAMMINO, MA GRANDE E' LA META - Brancaleone da Norcia -



lunedì 20 giugno 2011

PAURA E DELIRIO A LAS VEGAS (ma Las Vegas non c’entra)

Non vi prende mai quello strano meccanismo per cui vi ritornano alla mente aneddoti strani della vostra vita, non è esatto, strani non gli aneddoti in se, ma strano il contesto apparentemente incoerente in cui li riesumiamo?
A me è successo prima, mentre guidavo e rientravo a casa con un albero in macchina.
Mi è tornato in mente quando ho imparato ad andare in bicicletta, dico davvero imparato, come i grandi, senza le rotelle.
Ecco, mi ricordo, avevo un bici con la sella lunga, arancione, mi ricordo cha abitavo già li a redville, nella casa che è tutt’ora dei miei genitori. C’è una strada che costeggia la piazza e che collega ina lunga via con il cancello bianco di metallo che allora era arancione antiruggine ma era già quello, una strada di cira cento metri. Quasi all’inizio della strada, il secondo edificio della via, ha al piano terreno dei negozi, al tempo c’erano la posta e una ferramenta e mi ricordo che la proprietaria della ferramente, Ester, allora possedeva una Dyane 6 arancione.
Ricordo che mio papà mi tolse l’ultima rotella, quella che funzionava, da allora ne fui sempre sprovvisto salvo rari casi, pattinando, la tose cin due chiavi da 10 e il mio bolide d’un tratto fu libero.
Ricordo che glie lo chiesi io perché ero stufo di essere un bambino piccolo, ero stufo di non riuscire a passare tra i cordoli delle aiuole e i muri delle case, nei passaggi stretti, volevo essere libero di andare dove mi pareva, volevo essere felice di fare le cose da grande.
Ricordo perfettamente, in maniera assolutamente nitida e stranamente in prima persona le parole di mio padre che mi diceva “vai fino alla macchina arancione e poi giri e torni indietro, per nessun motivo arriverai alla cabina del telefono”. Si perché ho omesso che all’angolo della strada c’era e pensate, ancora c’è una cabina telefonica, la stessa dove imparai a telefonare gratis col filo di ferro.
Salii in bicicletta e partii, non so se feci venti metri, ma so esattamente cosa successe: un volo memorabile, estate, pantaloncini e maglietta, un corpicino di un bimbo che raschia sul grigio asfalto. Com’era duro, com’era ruvido e come bruciava la ferita. Sanguinavo e non so se piangessi, credo di no, l’unica cosa che ricordo fu la paura. La paura che d’un tratto mi assalì io sanguinavo e vedevo impossibile fare quel passo, imparare la magica arte dell’equilibrio su due ruote.
Papà mi rimise in sesto la bici che intanto aveva il manubrio tutto storto, io ero già in piedi, non sono mai stato giù, mai, forse una volta sola, ma lì è un’altra storia, sempre impiedi, anche col piede rotto, anche con la clavicola rotta.
Avevo paura, non volevo continuare, ma qualcosa mi spingeva a rifarlo. Riprovai, questa volta arrivai fino alla Dyane, ora si trattava di fare la curva, una bella inversione a u.
Niente un volo peggio di prima. Ricordo che i freni erano durissimi, non avevo la forza di tirarli, comunque di nuovo interra sul caldo asfalto di un tardo pomeriggio di inizio luglio.
Venni ripescato, più di me il mezzo che poveraccio stava patendo le mie stesse pene, ma lui era più duro, non si lamentava e soprattutto non sanguinava: avevo le ginocchi, i gomiti in uno stato pietoso.
La paura si faceva sempre più forte non volevo più saperne, però riprovai ancora. Altro volo, quella curva era impossibile da fare, come accidenti era possibile?
Più continuavo e più avevo paura, nemmeno lo spavento di qualcuno sotto il letto era così forte, nemmeno… nulla.
So che a un certo punto mi pare di aver pensato qualcosa del tipo “io non voglio avere paura, non mi piace”. Non cambiò molto, intendo nella riuscita delle lezioni di ciclismo, credo però che al decimo , dodicesimo tentativo imparai come fare.
Non avevo più paura, ormai avevo male,, ero un cencio sporco di sangue e ricordo tutt’ora il dolore delle cure, ricordo quanto infinitamente bruciasse, ero sul balcone di casa a farmi medicare, quello che da su quella stessa via e guardavo quella maledetta macchina arancione che in due o tre occasioni avevo mancato di poco finendo a terra contro la strada.
Ce l’avevo fatta. Oggi mi rendo conto della conquista di quel bambino che quel giorno diventava un bambino grande, quello stesso bambino grande che si farà pieno di crosti domenica prossima per diventare uno stupido bambino grande.
Morale? Non è una questione di paura, la paura puoi smettere di averla non pensandoci, lei non ci sarà più perché quello che ignori non esiste. Ma quanto cazzo è difficile! Mica sempre ci si riesce.


5 commenti:

  1. Io credo che un pizzico di paura (non di quella che diventa panico e ci paralizza) sia utile a darci il senso della misura. In ogni caso quello che conta davvero è avere la forza e/o trovare il coraggio (dipende) di rialzarsi..
    E... sei già grande, non serve arrivare a domenica per capirlo. ..
    (poison-che-nemmeno-ci-prova-a-loggarsi-dall-i-asciugacapelli)

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  2. Quindi la morale è: "ma quanto cazzo è difficile!"?!? :D
    Si, è difficile ed è per questo che ce la fanno in pochi.
    Tu ce la farai..!

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  3. ha ragione l'asciugacapelli... tu sei già grande. una sola cosa: domenica cerca di arrivare alla macchina arancione e cerca di fare la curva, sarà diverso ma non poi tanto e se cadi alzi il culo e riparti. prometti.

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  4. Ti commento citando una persona saggia che un giorno mi scrisse :...un passo avanti all'altro, e sguardo avanti, mai i piedi. ricorda che tu vai dove guardi, quindi occhi all'orizzonte.
    in bocca a lupo
    l'anonima stressata

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