LONGO E' LO CAMMINO, MA GRANDE E' LA META - Brancaleone da Norcia -



lunedì 27 giugno 2011

Titolo: E SPERIAMO CHE SIA L’ULTIMO. Sottotitolo: che con sta storia hai già ben tritato

Questo sarà un post noioso, nonostante vada a cercare di renderlo il più interessante possibile conosco già il risultato.
Mi piacciono le autocelebrazioni, sono sintomo di autostima e soddisfazione per un risultato raggiunto, sono espressione di gioia. Mi piacciono, ma non fatte da me. Di mio preferisco godermi il reale valore di quanto ottenuto, cercando di darne il reale peso in oro.
Ieri, come ormai sanno tutti quelli che frequentano queste pagine, ho fatto una gara.
Sono perfettamente consapevole del fatto che alla lunga stufa sentire sempre e lsolo parlare di certi argomenti, di dubbio interesse peraltro, ma io poi non credo ne parlerò più.
Una fredda analisi sul fenomeno? Si. le più interessanti sono sempre così.
Cosa porta duemilacinquecento persone a pagare una notevole cifra, allinearsi un bel mattino d’estate su una spiaggia sassosa del sud della francia, e al suono di una tromba entrare in acqua per cercare di percorrere a nuoto una notevole distanza tra pugni e calci, per poi correre a prendere una bicicletta, percorrere una notevolissima distanza fatta di colli da oltre millecento metri di dislivello, posare la bicicletta e al sole delle 14 circa, correre una maratona?
Ma naturalmente il premio!
Ah, no, poi c’è ancora uno zainetto.
Eh?! Anzi, a dire la verità quella rossa è in regalo personale di mia sorella.
Ecco che cosa porta un manipolo di squilibrati e di squilibrate, perché, donne, non crediatevi immuni da questa cosa, a mettersi in condizioni fisiche disastrose dopo allenamenti estenuanti e spese folli in attrezzatura costosissima.
Si, è esattamente per il premio, e grazie a questa esperienze, oltre che a un ustione ai piedi, ma quella è marginale, ho vinto un camion di felicità, perché poi, tutto sommato, quello che conta è condividere le cose con chi ami. Ho vinto amici che mi hanno fatto imbocca al lupo sinceri nonostante qualche incomprensione,  ho vinto persone innamorate dell’impresa, che per inciso non è quel granchè (se avete un giorno intero da dedicare a voi stessi, potete cominciare a prepararvi) ho vinto i pregiudizi verso chi ritenevo una dei tanti e perché no, anche un po’antipatica, soltanto parlandoci assieme. Ho vinto la “mia” città tirata a lustro, piena di gente, con i progetti del recupero delle piazze finalmente finiti, ho vinto una conferma, la mia biondanonvedente, ho vinto la commozione per un amico con un sogno infranto che meritava di realizzare molto più di me e ho vinto una certezza dal sapore unico, la più meravigliosa delle certezze.
Pochi o nessuno di voi potrà mai immaginare la gioia che ho provato in questo finesettimana, parlo della gioia inarrivabile di un momento da fermare nel tempo, quelli che vorresti congelati nel ghiaccio come il disco volante de l’Era Glaciale e che vorresti poter trasformare nella quotidianità.
Grazie a tutti, a chi legge e a chi no. Ho avuto tutti nel cuore, ed è per questo che sono andato così piano, pesate parecchio.






sabato 25 giugno 2011

GIOIELLI

Adesso é vero perdavvero

lunedì 20 giugno 2011

PAURA E DELIRIO A LAS VEGAS (ma Las Vegas non c’entra)

Non vi prende mai quello strano meccanismo per cui vi ritornano alla mente aneddoti strani della vostra vita, non è esatto, strani non gli aneddoti in se, ma strano il contesto apparentemente incoerente in cui li riesumiamo?
A me è successo prima, mentre guidavo e rientravo a casa con un albero in macchina.
Mi è tornato in mente quando ho imparato ad andare in bicicletta, dico davvero imparato, come i grandi, senza le rotelle.
Ecco, mi ricordo, avevo un bici con la sella lunga, arancione, mi ricordo cha abitavo già li a redville, nella casa che è tutt’ora dei miei genitori. C’è una strada che costeggia la piazza e che collega ina lunga via con il cancello bianco di metallo che allora era arancione antiruggine ma era già quello, una strada di cira cento metri. Quasi all’inizio della strada, il secondo edificio della via, ha al piano terreno dei negozi, al tempo c’erano la posta e una ferramenta e mi ricordo che la proprietaria della ferramente, Ester, allora possedeva una Dyane 6 arancione.
Ricordo che mio papà mi tolse l’ultima rotella, quella che funzionava, da allora ne fui sempre sprovvisto salvo rari casi, pattinando, la tose cin due chiavi da 10 e il mio bolide d’un tratto fu libero.
Ricordo che glie lo chiesi io perché ero stufo di essere un bambino piccolo, ero stufo di non riuscire a passare tra i cordoli delle aiuole e i muri delle case, nei passaggi stretti, volevo essere libero di andare dove mi pareva, volevo essere felice di fare le cose da grande.
Ricordo perfettamente, in maniera assolutamente nitida e stranamente in prima persona le parole di mio padre che mi diceva “vai fino alla macchina arancione e poi giri e torni indietro, per nessun motivo arriverai alla cabina del telefono”. Si perché ho omesso che all’angolo della strada c’era e pensate, ancora c’è una cabina telefonica, la stessa dove imparai a telefonare gratis col filo di ferro.
Salii in bicicletta e partii, non so se feci venti metri, ma so esattamente cosa successe: un volo memorabile, estate, pantaloncini e maglietta, un corpicino di un bimbo che raschia sul grigio asfalto. Com’era duro, com’era ruvido e come bruciava la ferita. Sanguinavo e non so se piangessi, credo di no, l’unica cosa che ricordo fu la paura. La paura che d’un tratto mi assalì io sanguinavo e vedevo impossibile fare quel passo, imparare la magica arte dell’equilibrio su due ruote.
Papà mi rimise in sesto la bici che intanto aveva il manubrio tutto storto, io ero già in piedi, non sono mai stato giù, mai, forse una volta sola, ma lì è un’altra storia, sempre impiedi, anche col piede rotto, anche con la clavicola rotta.
Avevo paura, non volevo continuare, ma qualcosa mi spingeva a rifarlo. Riprovai, questa volta arrivai fino alla Dyane, ora si trattava di fare la curva, una bella inversione a u.
Niente un volo peggio di prima. Ricordo che i freni erano durissimi, non avevo la forza di tirarli, comunque di nuovo interra sul caldo asfalto di un tardo pomeriggio di inizio luglio.
Venni ripescato, più di me il mezzo che poveraccio stava patendo le mie stesse pene, ma lui era più duro, non si lamentava e soprattutto non sanguinava: avevo le ginocchi, i gomiti in uno stato pietoso.
La paura si faceva sempre più forte non volevo più saperne, però riprovai ancora. Altro volo, quella curva era impossibile da fare, come accidenti era possibile?
Più continuavo e più avevo paura, nemmeno lo spavento di qualcuno sotto il letto era così forte, nemmeno… nulla.
So che a un certo punto mi pare di aver pensato qualcosa del tipo “io non voglio avere paura, non mi piace”. Non cambiò molto, intendo nella riuscita delle lezioni di ciclismo, credo però che al decimo , dodicesimo tentativo imparai come fare.
Non avevo più paura, ormai avevo male,, ero un cencio sporco di sangue e ricordo tutt’ora il dolore delle cure, ricordo quanto infinitamente bruciasse, ero sul balcone di casa a farmi medicare, quello che da su quella stessa via e guardavo quella maledetta macchina arancione che in due o tre occasioni avevo mancato di poco finendo a terra contro la strada.
Ce l’avevo fatta. Oggi mi rendo conto della conquista di quel bambino che quel giorno diventava un bambino grande, quello stesso bambino grande che si farà pieno di crosti domenica prossima per diventare uno stupido bambino grande.
Morale? Non è una questione di paura, la paura puoi smettere di averla non pensandoci, lei non ci sarà più perché quello che ignori non esiste. Ma quanto cazzo è difficile! Mica sempre ci si riesce.


Uhm? University of Hawaii at Manoa

Nulla di più  straordinariamente difficile della normalità.
Perseguire la normalità sembra una pratica da “anziani”, da chi rifugge le diversità magari perché spaventato, oppure decisamente per pigrizia preferisce i “non problemi” della beata calda e comoda conformità.
No. Io intendo parlare di altro. Intendo il sogno di chi pur pazzo vorrebbe avere la possibilità di una vita normale.
Attenti, sempre quel normale sui generis, perché chi tanto normale poi non lo è non credo possa mai essere “sereno” in una conformità esasperata fatta di cordialità forzata col vicino che ti parcheggia davanti al cancello di casa, di prato rasato, di litigi sottovoce perché sai, i vicini, e ciabatte allineate all’ingresso che manco in Giappone, no, intendo la normalità che chiunque di voi da per scontata, quella di rientrare e trovare qualcuno che ti aspetta, quella di aspettare qualcuno, quella di addormentarti insieme a qualcuno, quella di una cena fuori, quella di un week end, quella di un bacio in piazza perché proprio ti scappa. Quella di qualcuno che ti aspetta quando arrivi sfinito, quella del tifo che fai forte, più forte che puoi e che sai che è una fionda.
Pazzesco, da adolescente, io, quello con i capelli lunghi fino al culo, quello che la roba da vestire se la comprava che gli piaceva e dopo tre mesi la vedeva addosso anche agli altri, quello che quasi mai anticonformista per moda, quello che dopo quattro anni anche gli altri, ora sogna le “mille lire al mese”, ma senza mogliettina, o almeno non quella sempre tenera e carina, no, ho ben chiaro come: l’altra mia metà, fatta di pazzie e di sbalzi emotivi, ecco, quelli magari non proprio esageratamente grandi, fatta di lunghi di bici e lunghi di sonno, fatta di gare e di cene a rhum, fatta di lunghi di sesso, si, di sesso come piace a me, fatto bene, fatto di istinto e di attenzione, di voglia di fare star bene l’altra persona, leggendo cosa “ci” piace in quel momento. Fatta di “e se andassimo…” e si va. Fatta di liti furibonde e di discussioni pacate, fatta di non avevo capito e di tutto passato, fatta di ti sistemo la bici, di faccio una corsa mentre finisci li, fatta di “ho bisogno di un po’di solitudine” “ok, vado a farmi il Fauniera”
Quanto basta per essere felici? Tanto? Poco? Normale. Solo che ogni tanto ti si ricordi quanto bene si sta o quanto male si sta senza, tutto li, perché l’umanità (volevo scrivere l’uomo, ma poi sarebbe stato magari inteso come maschio) tende a perdere di vista il bello di quello che ha, non solo a darlo per scontato, ma davvero a non vederlo più.
È il senso del “pensiero felice” che fa  volare Peter Pan, una volta che ce l’hai non lo devi lasciare più.
Nessuno crederebbe mai cosa mi ha portato a scrivere questo post: una delle cose più meravigliose che possano capitare. Nessuna notte di fuoco e fiamme, di quelle che devi chiamare il falegname a far aggiustare letto, tavolo e magari pavimento, nessuna dichiarazione bomba a sorpresa di amore eterno e infinitamente grande. Niente, solo la più meravigliosa e semplicemente fantastica normalità degli altri.
Piermarco, lo stesso dell’ultimo Capodanno, mi ha fatto questo discorso. Ha trovato un’inaspettata stella, sono perfetti insieme, lei  bella e dolce e insieme sono teneri come due adolescenti, solo di quasi cinquant’anni, mi dice di quanto bello è finalmente, che l’ha aspettato tutta la vita.
Mi manca.
La ruggine che consumerà l’ironman che è in me.

Uhm…



lunedì 13 giugno 2011

VALORE ASSOLUTO

Ieri  Alex ha fatto centro un’altra volta. Il fenomeno ha colpito ancora.
Ieri  si disputava la prova ironia italia sulla distanza 70.3 (ossia volgarmente detto mezzo ironman), e il fenomeno cosa fa? Va e si prende lo slot per Las Vegas.
Spieghiamo: il circuito ironman, una serie di gare consistenti in triathlon di media e lunga distanza, sono caratterizzati da una finale per specialità. Quella per la distanza classica si disputa  a Kona, Hawaii U.S.A. ogni anno a fine ottobre. Appuntamento classico dove tutto ebbe origine, mentre per la media distanza si cambia e quest’anno, a fine settembre, tocca a Las Vegas. La pro loco del paese ha strappato a Clearwater Florida la location.
Ieri Alex è arrivato quarto di categoria, 45/49 anni. È un buonissimo risultato, ma non basta. Gli slot, ossia la possibilità di partecipare ai suddetti campionati del mondo, erano tre. Uno ha rinunciato.
Che vuol dire? La cosa assume un valore minore? No. sono gli eventi. Se questo alla premiazione non c’era, piuttosto che non ha voluto andare piuttosto che già qualificato in altra gara, non importa. “gli assenti hanno sempre torto” G.Giordano.
Con questo? Con questo voglio dire che un qualsiasi risultato non assume un valore minore solo perché gli eventi fortunati hanno portato in quella direzione. Quello che resta alla storia non è la cronaca, è l’albo.
Il metallo è metallo e ora bisogna festeggiare. Il metallo va onorato.
Bravi campioni. Ho profonda invidia di voi, ma ho troppo rispetto per i vostri risultati perché sia invidia cattiva, solo mi piacerebbe tanto essere al vostro posto, anche se un pezzo di me lo era.




mercoledì 1 giugno 2011

ICH BIN EIN BERLINER



O almeno, quanto mi piacerebbe.
Notizia di ieri (come questo post) che i tedeschi hanno deciso di spegnere il nucleare.
Spengono il nucleare per andare verso le energie rinnovabili.
Il paese che da sempre universalmente individuato come il posto dell’industria pesante, che richiede energia, un posto dove fa anche parecchio più freddo che qui da noi, per cui, anche li, più energia, che fa? Va contro tendenza? Si suicida?
Perché a detta del nostro autorevolissimo governo, abbiamo assoluta necessità del nucleare, senza siamo perduti.
A questo punto, ripeto, è la signora A. Merkel che in vena di disfattismo tenta comunisticamente di affossare la nazione che governa con una mossa subdola mascherata da coraggiosa scelta per un futuro a dimensione umana oppure è il governo italiano che millanta autorevolezza e tenta di instradare forzatamente verso un futuro che già nel 1987 fu rifiutato e che per ragioni di interesse DEVE essere riportato in vita a forza?
Mi piacerebbe discutere con chi tutt’oggi sostiene la tesi del passo indietro, del ritorno alla biro e alla lettera scritta, con coloro che sostengono la tesi che intanto tutto intorno le centrali le hanno e che se l’incidente capita siamo tutti comunque coinvolti, mi piacerebbe davvero chiedergli cosa pensa se invece che investire risorse nell’inventare la ruota avessero continuato a cercare delle slitte più efficaci. Mi piacerebbe chiedergli se davvero ritiene che essere legato a quello che l’economia impone sia invece così lungimirante e sano.
Attendo fiduciosamente, fino ad allora… con malcelata invidia per la maturità di un popolo che è in grado di costruire una classe dirigente così coraggiosa e lungimirante.