LONGO E' LO CAMMINO, MA GRANDE E' LA META - Brancaleone da Norcia -



giovedì 15 dicembre 2011

CHIAMALE SE VUOI PRECISAZIONI

...o forse diritto di replica, poco elegante, ma se c’è da scendere scendiamo.
Ho investito alcuni minuti della mia pausa pranzo, il tempo che si investe per aiutare a capire è tempo saggiamente impiegato.
Intelligentemente qualcuno ha pensato di commentare con “sarebbe da approfondire ‘sto discorso”.
Ebbene, vediamo, sfrutto la mia vituperata arte pittorica per vedere, questa volta, di rappresentare la realtà con la precisione di un’istantanea.
La gara è fatta di una trasferta fuori, di un week end piacevole al mare, peccato che la signora che urla piangente “la nostra gara” “quella che dovevamo fare insieme”, non ricordi le parole dette da lei medesima dove dichiarava apertamente, “mica ci andiamo insieme”, e la stessa giovane donna, che per comodo mette paletti e freni e per comodo li toglie, non racconta tutta la faccenda come si è svolta.
Si viene da oltre una settimana di crisi, dove chi mi ha imposto di non presenziare alla gara di nuoto a cui avrei volentieri assistito, e a cui ho comunque assistito, lo aveva fatto per una battuta, magari di dubbio gusto, per carità, ma relativa a:
O: Allora mi dici che hai comprato? (riferito all’albero di natale N.d.R.)
R.: No. sei troppo curiosa, poi ti rovini la sorpresa. Lo vedi poi.
O: Due giorni di seguito senza farmi sentire in colpa non ce la fai vero?
Niente risposta da parte di R.
Il giorno dopo lo risparmio, qualche scambio acido di messaggi, ma da parte di R. pienamente disponibili (posso fornire documentazione) fino allo “stai dove sei”, ma se interessa lo metto a disposizione.
Una settimana di silenzio. Silenzio stampa, poi mi viene incontro, cerco di scusarmi, vengono tirate in ballo una serie di aggravanti tra cui la mancata comunicazione: non parlo mai di me.
Si torna ad un rapporto sulle uova, perché tanto tanto arrabbiata, furiosa, e ieri h.22,00 urla e strepiti così “fortissimi” che non si capiva nulla, dove mi viene mossa la gravissima accusa di cui sapete.
Francamente vorrei capire come avrebbe potuto essere la “nostra” gara, rubando tre sguardi e quattro battute con il titolare presente o magari lontano q.b.?
Devo chiedere scusa, certo, forse per il fatto che in due giorni di lavoro e allenamenti, con la gestione delicatamente accurata di ben altre situazioni e parole, perché ancora non è passata, bisogna bollire, possa scappare di mente? O forse perché chi mi avrebbe accompagnato in sostituzione di chi ... stava per scapparmi una cosa, ma ormai fuori luogo, in vece della suddetta signora, ancora non sapeva se sarebbe venuta e se con me o con il suo compagno?
O forse semplicemente per avere permesso di arrivare qui?
Mi permetto di precisare ancora questo: sempre la suddetta signora, dovrebbe prendere atto che da una persona con cui ha litigato furiosamente per questioni qui ininfluenti e con cui non comunica da sei mesi, non credo ci si possa aspettare un coinvolgimento un una allegra gita sociale, e credo che queste dinamiche esulino dal genere maschile o femminile. Questa considerazione a titolo personale la scrivo perché sembra che il fatto della presunta manchevolezza dello scrivente nei confronti della menzionata signora passi se non in secondo piano, almeno in pari importanza con quella della presunta esclusione dall’allegra corsetta al mare in compagnia.
Bene, direi che ora un vago quadro della situazione vista da dietro ce lo si possa avere.
A disposizione per ulteriori chiarimenti e per le vostre certe e perché no, beneaccette e costruttive note di biasimo nei miei confronti.



martedì 13 dicembre 2011

MA PER SEMPRE È TANTO TEMPO!

Questo post è un po'che mi frulla in testa, mi è nata da una serie di commenti che ho letto relativi ad un post della settimana scorsa.

Ecco, volevo solo provare a sollevare un dubbio alle granitiche certezze di qualcuno. Niente di più che un'analisi del mio pensiero, così che chi ha voglia possa confrontarsi e magari provare a farmi cambiare idea. Solo gli idioti non cambiano idea, no?

Dunque, qualcuno sostiene che l'amore eterno non esista. Bene, mi piacerebbe sapere su che basi fondi questa certezza, forse perché non gli è mai successo di vederlo? Beh, ha mai visto il Polo Sud? Credo di no, ma dubito ne metta in dubbio l'esistenza.

E posso andare oltre: posso portare ad esempio una forma di amore eterno che tutti noi abbiamo sott'occhio pressoché quotidianamente: chiedete a una madre se smette di amare il proprio figlio. Caso molto raro vero? E allora, non sono ambedue due esseri umani? Ne deriva che si verifica.

Sono fermamente convinto che l'amore eterno esista, solo è faticoso, molto faticoso. L'amore richiede costante e quotidiana manutenzione, come una Ferrari d'epoca con le valvole che si incrostano e la carburazione che salta un giorno si e uno pure. Ma se la manutenzione è costante e continua, se quel costante lavoro è metodicamente e inesorabilmente svolto da ambedue allora non può che funzionare.

Ecco perché siamo così propensi a sostenere che l'amore non sia eterno. Perché siamo fondamentalmente pigri ed egoisti peccato che poi quello che ce ne deriva sia soltanto amarezza; alla prima avvisaglia di dolore abbandoniamo, evitiamo di discutere e di chiarire problemi e malesseri, diamo per scontato cose che invece non sono per cocciutaggine o presunzione, oppure molto più semplicemente ci adagiamo pensando che sia come un albero che non può far altro che crescere, mentre invece è come un edificio che vuole costante lavoro per rimanere in condizioni eccellenti.

Medico cura te stesso allora, no? Infatti è per questo che scrivo tutto questo: comunicare è fondamentale per apprendere, per imparare e io scrivo dei miei "esperienze?" per far si che anche altri non ne debbano pagare lo scotto.

Sono uscito dal seminato, ma vengo al punto: le conclusioni.

 

Esiste,

 

ma sono qui, pronto a discuterne con che ne abbia voglia

 

 

venerdì 9 dicembre 2011

ERA SEMPLICE

L’uomo, dal momento in cui ha preso coscienza della morte, ha ingaggiato con essa una delle più feroci battaglie della propria storia.
In tutti i modi l’uomo ha cercato di sottrarsi al fatidico momento: con la religione, che rassicura il credente che se si comporterà in una data maniera allora in qualche modo il proprio spirito sopravvivrà, addirittura il cristianesimo prevede la risurrezione della carne. Poi con la filosofia, cercando di dare una spiegazione alle tre fatidiche domande: chi siamo, da dove veniamo, che cosa trasportiamo, un fiorino. Poi gli alchimisti, ricercando il segreto dell’eterna giovinezza e dell’immortalità, quindi la medicina, con la spasmodica ricerca della cura della seconda peggiore malattia che possa affliggere l’uomo: la morte.
Persino la letteratura se ne occupò: Goethe risolse con un patto diabolico tra Faust e il demonio, Coleridge in una sfida a scacchi tra il vecchio marinaio e la morte stessa, Lady Shelley diede al Prof. Frankenstein le tormentate conoscenze per divenire Dio e vincere il corso della natura, persino Wilde trovò la soluzione nel trasferire il male che poi è quello che fa marcire il nostro corpo in un ritratto in modo che il corpo ne rimanesse estraneo e quindi puro, per non parlare di Stoker e il suo Dracula. Questa è la letteratura: non voglio nemmeno sfiorare l’argomento cinema e/o affini.
In era più moderna, il Re del Pop, dormiva in una cassa iperbarica e noi ridevamo di queste estremizzazioni, perdendo di vista ciò che chi si rivolge alla chirurgia estetica, alle palestre, alle beauty farm, alle cliniche specializzate tenta di fare e che noi stessi facciamo quotidianamente.
Bene, finalmente è tutto risolto: era sufficiente instaurare il direttorio, il papa fantoccio o di transizione, commissariare il paese. Era sufficiente riformare le pensioni, bastava eliminare il concetto di vecchiaia. Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo verso l’immortalità
Alle volte è così semplice.


lunedì 5 dicembre 2011

AMARCORD CON STRENNE


C’era una volta, tanto tempo fa in una lontana e amena cittadina di provincia che chiameremo Redville, un puntino. Un piccolo puntino rosso che poi sarebbe diventato un grosso quadratone un tantino scemo e credulone, forse per pigrizia o forse perché senza vuole crederci.
Quando arrivavano i primi giorni di dicembre, allora la neve era una certezza, tolto una breve parentesi verso la metà degli anni ottanta, per magia i bambini, e i puntini di conseguenza, diventavano magicamente più buoni. Mica che fosse una strana e magica congiunzione astrale a influenzare i caratteri e a mitigare le nefandezze delle piccole pesti di Redville, no, era pura e semplice intimidazione: “guarda che siamo sotto natale, babbo natale, che tutto vede, saprà regolarsi di conseguenza. Continua a comportarti male e se sarai fortunato avrai due massimo tre pezzi di carbone, e non quello dolce.”. E le minacce in parte funzionavano. In parte, perché se nasci asino non muori cavallo.
C’era comunque un giorno speciale tra questi, di solito un sabato, dove verso sera, finita la partita del pulcino/esordiente grande attaccante, tornato a casa, il papà pronunciava la magica frase: “andiamo a prendere l’albero?”.
Da bambini è tutto più grande: forse perché è rapportato alla statura, le distanze che da bambini ci parevamo infinite oggi non lo sono più, la strada di scuola per esempio, le giornate infinitamente lunghe rispetto a quelle di oggi, oddio, non tutte perché qualcuna è lunga davvero anche oggi, la tristezza, e soprattutto la felicità: da bambino raggiungevo gradi di felicità inimmaginabili, e questo era proprio uno di quei frangenti.
Amarcord di una piazza piena di abeti di tutte le misure dove rimanevo incantato da quelli enormi, del caratteristico profumo, dell’odore di freddo e dei rumori di natale, i colori delle luminarie.
Si, ero felice, quanto poco basta per essere felici da bambini, o forse è perché in realtà hai tutto quello che ti serve.
Sabato in piena vena nostalgica, sono tornato in quella piazza: un po’diversa da allora, e il mercato degli alberi di natale si è ridotto a dieci metri quadri e una vecchia signora vestita di dieci strati che tesse le lodi del suo vivaio, tuttavia il puntino rosso era li, oggi quadratino, ma con la voglia di rivivere quei momenti. Osservava in silenzio i bimbi scegliere gli alberi e ricordava quando toccava a lui.
Albero comprato, stesso profumo, purtroppo lo stato d’animo non era proprio lo stesso.
Peccato.