LONGO E' LO CAMMINO, MA GRANDE E' LA META - Brancaleone da Norcia -



giovedì 15 dicembre 2011

CHIAMALE SE VUOI PRECISAZIONI

...o forse diritto di replica, poco elegante, ma se c’è da scendere scendiamo.
Ho investito alcuni minuti della mia pausa pranzo, il tempo che si investe per aiutare a capire è tempo saggiamente impiegato.
Intelligentemente qualcuno ha pensato di commentare con “sarebbe da approfondire ‘sto discorso”.
Ebbene, vediamo, sfrutto la mia vituperata arte pittorica per vedere, questa volta, di rappresentare la realtà con la precisione di un’istantanea.
La gara è fatta di una trasferta fuori, di un week end piacevole al mare, peccato che la signora che urla piangente “la nostra gara” “quella che dovevamo fare insieme”, non ricordi le parole dette da lei medesima dove dichiarava apertamente, “mica ci andiamo insieme”, e la stessa giovane donna, che per comodo mette paletti e freni e per comodo li toglie, non racconta tutta la faccenda come si è svolta.
Si viene da oltre una settimana di crisi, dove chi mi ha imposto di non presenziare alla gara di nuoto a cui avrei volentieri assistito, e a cui ho comunque assistito, lo aveva fatto per una battuta, magari di dubbio gusto, per carità, ma relativa a:
O: Allora mi dici che hai comprato? (riferito all’albero di natale N.d.R.)
R.: No. sei troppo curiosa, poi ti rovini la sorpresa. Lo vedi poi.
O: Due giorni di seguito senza farmi sentire in colpa non ce la fai vero?
Niente risposta da parte di R.
Il giorno dopo lo risparmio, qualche scambio acido di messaggi, ma da parte di R. pienamente disponibili (posso fornire documentazione) fino allo “stai dove sei”, ma se interessa lo metto a disposizione.
Una settimana di silenzio. Silenzio stampa, poi mi viene incontro, cerco di scusarmi, vengono tirate in ballo una serie di aggravanti tra cui la mancata comunicazione: non parlo mai di me.
Si torna ad un rapporto sulle uova, perché tanto tanto arrabbiata, furiosa, e ieri h.22,00 urla e strepiti così “fortissimi” che non si capiva nulla, dove mi viene mossa la gravissima accusa di cui sapete.
Francamente vorrei capire come avrebbe potuto essere la “nostra” gara, rubando tre sguardi e quattro battute con il titolare presente o magari lontano q.b.?
Devo chiedere scusa, certo, forse per il fatto che in due giorni di lavoro e allenamenti, con la gestione delicatamente accurata di ben altre situazioni e parole, perché ancora non è passata, bisogna bollire, possa scappare di mente? O forse perché chi mi avrebbe accompagnato in sostituzione di chi ... stava per scapparmi una cosa, ma ormai fuori luogo, in vece della suddetta signora, ancora non sapeva se sarebbe venuta e se con me o con il suo compagno?
O forse semplicemente per avere permesso di arrivare qui?
Mi permetto di precisare ancora questo: sempre la suddetta signora, dovrebbe prendere atto che da una persona con cui ha litigato furiosamente per questioni qui ininfluenti e con cui non comunica da sei mesi, non credo ci si possa aspettare un coinvolgimento un una allegra gita sociale, e credo che queste dinamiche esulino dal genere maschile o femminile. Questa considerazione a titolo personale la scrivo perché sembra che il fatto della presunta manchevolezza dello scrivente nei confronti della menzionata signora passi se non in secondo piano, almeno in pari importanza con quella della presunta esclusione dall’allegra corsetta al mare in compagnia.
Bene, direi che ora un vago quadro della situazione vista da dietro ce lo si possa avere.
A disposizione per ulteriori chiarimenti e per le vostre certe e perché no, beneaccette e costruttive note di biasimo nei miei confronti.



martedì 13 dicembre 2011

MA PER SEMPRE È TANTO TEMPO!

Questo post è un po'che mi frulla in testa, mi è nata da una serie di commenti che ho letto relativi ad un post della settimana scorsa.

Ecco, volevo solo provare a sollevare un dubbio alle granitiche certezze di qualcuno. Niente di più che un'analisi del mio pensiero, così che chi ha voglia possa confrontarsi e magari provare a farmi cambiare idea. Solo gli idioti non cambiano idea, no?

Dunque, qualcuno sostiene che l'amore eterno non esista. Bene, mi piacerebbe sapere su che basi fondi questa certezza, forse perché non gli è mai successo di vederlo? Beh, ha mai visto il Polo Sud? Credo di no, ma dubito ne metta in dubbio l'esistenza.

E posso andare oltre: posso portare ad esempio una forma di amore eterno che tutti noi abbiamo sott'occhio pressoché quotidianamente: chiedete a una madre se smette di amare il proprio figlio. Caso molto raro vero? E allora, non sono ambedue due esseri umani? Ne deriva che si verifica.

Sono fermamente convinto che l'amore eterno esista, solo è faticoso, molto faticoso. L'amore richiede costante e quotidiana manutenzione, come una Ferrari d'epoca con le valvole che si incrostano e la carburazione che salta un giorno si e uno pure. Ma se la manutenzione è costante e continua, se quel costante lavoro è metodicamente e inesorabilmente svolto da ambedue allora non può che funzionare.

Ecco perché siamo così propensi a sostenere che l'amore non sia eterno. Perché siamo fondamentalmente pigri ed egoisti peccato che poi quello che ce ne deriva sia soltanto amarezza; alla prima avvisaglia di dolore abbandoniamo, evitiamo di discutere e di chiarire problemi e malesseri, diamo per scontato cose che invece non sono per cocciutaggine o presunzione, oppure molto più semplicemente ci adagiamo pensando che sia come un albero che non può far altro che crescere, mentre invece è come un edificio che vuole costante lavoro per rimanere in condizioni eccellenti.

Medico cura te stesso allora, no? Infatti è per questo che scrivo tutto questo: comunicare è fondamentale per apprendere, per imparare e io scrivo dei miei "esperienze?" per far si che anche altri non ne debbano pagare lo scotto.

Sono uscito dal seminato, ma vengo al punto: le conclusioni.

 

Esiste,

 

ma sono qui, pronto a discuterne con che ne abbia voglia

 

 

venerdì 9 dicembre 2011

ERA SEMPLICE

L’uomo, dal momento in cui ha preso coscienza della morte, ha ingaggiato con essa una delle più feroci battaglie della propria storia.
In tutti i modi l’uomo ha cercato di sottrarsi al fatidico momento: con la religione, che rassicura il credente che se si comporterà in una data maniera allora in qualche modo il proprio spirito sopravvivrà, addirittura il cristianesimo prevede la risurrezione della carne. Poi con la filosofia, cercando di dare una spiegazione alle tre fatidiche domande: chi siamo, da dove veniamo, che cosa trasportiamo, un fiorino. Poi gli alchimisti, ricercando il segreto dell’eterna giovinezza e dell’immortalità, quindi la medicina, con la spasmodica ricerca della cura della seconda peggiore malattia che possa affliggere l’uomo: la morte.
Persino la letteratura se ne occupò: Goethe risolse con un patto diabolico tra Faust e il demonio, Coleridge in una sfida a scacchi tra il vecchio marinaio e la morte stessa, Lady Shelley diede al Prof. Frankenstein le tormentate conoscenze per divenire Dio e vincere il corso della natura, persino Wilde trovò la soluzione nel trasferire il male che poi è quello che fa marcire il nostro corpo in un ritratto in modo che il corpo ne rimanesse estraneo e quindi puro, per non parlare di Stoker e il suo Dracula. Questa è la letteratura: non voglio nemmeno sfiorare l’argomento cinema e/o affini.
In era più moderna, il Re del Pop, dormiva in una cassa iperbarica e noi ridevamo di queste estremizzazioni, perdendo di vista ciò che chi si rivolge alla chirurgia estetica, alle palestre, alle beauty farm, alle cliniche specializzate tenta di fare e che noi stessi facciamo quotidianamente.
Bene, finalmente è tutto risolto: era sufficiente instaurare il direttorio, il papa fantoccio o di transizione, commissariare il paese. Era sufficiente riformare le pensioni, bastava eliminare il concetto di vecchiaia. Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo verso l’immortalità
Alle volte è così semplice.


lunedì 5 dicembre 2011

AMARCORD CON STRENNE


C’era una volta, tanto tempo fa in una lontana e amena cittadina di provincia che chiameremo Redville, un puntino. Un piccolo puntino rosso che poi sarebbe diventato un grosso quadratone un tantino scemo e credulone, forse per pigrizia o forse perché senza vuole crederci.
Quando arrivavano i primi giorni di dicembre, allora la neve era una certezza, tolto una breve parentesi verso la metà degli anni ottanta, per magia i bambini, e i puntini di conseguenza, diventavano magicamente più buoni. Mica che fosse una strana e magica congiunzione astrale a influenzare i caratteri e a mitigare le nefandezze delle piccole pesti di Redville, no, era pura e semplice intimidazione: “guarda che siamo sotto natale, babbo natale, che tutto vede, saprà regolarsi di conseguenza. Continua a comportarti male e se sarai fortunato avrai due massimo tre pezzi di carbone, e non quello dolce.”. E le minacce in parte funzionavano. In parte, perché se nasci asino non muori cavallo.
C’era comunque un giorno speciale tra questi, di solito un sabato, dove verso sera, finita la partita del pulcino/esordiente grande attaccante, tornato a casa, il papà pronunciava la magica frase: “andiamo a prendere l’albero?”.
Da bambini è tutto più grande: forse perché è rapportato alla statura, le distanze che da bambini ci parevamo infinite oggi non lo sono più, la strada di scuola per esempio, le giornate infinitamente lunghe rispetto a quelle di oggi, oddio, non tutte perché qualcuna è lunga davvero anche oggi, la tristezza, e soprattutto la felicità: da bambino raggiungevo gradi di felicità inimmaginabili, e questo era proprio uno di quei frangenti.
Amarcord di una piazza piena di abeti di tutte le misure dove rimanevo incantato da quelli enormi, del caratteristico profumo, dell’odore di freddo e dei rumori di natale, i colori delle luminarie.
Si, ero felice, quanto poco basta per essere felici da bambini, o forse è perché in realtà hai tutto quello che ti serve.
Sabato in piena vena nostalgica, sono tornato in quella piazza: un po’diversa da allora, e il mercato degli alberi di natale si è ridotto a dieci metri quadri e una vecchia signora vestita di dieci strati che tesse le lodi del suo vivaio, tuttavia il puntino rosso era li, oggi quadratino, ma con la voglia di rivivere quei momenti. Osservava in silenzio i bimbi scegliere gli alberi e ricordava quando toccava a lui.
Albero comprato, stesso profumo, purtroppo lo stato d’animo non era proprio lo stesso.
Peccato.




martedì 15 novembre 2011

PENSIERI ORIZZONTALI

Ho letto una volta da qualche parte che i pensieri fatti da sdraiati sono sempre più drastici, insomma, peggiori di quelli fatti in posizione eretta.
Io sono sempre stato caldo sostenitore della tesi per cui a letto si va per fare sesso e per dormire, e ci si dovrebbe rimanere il tempo strettamente necessario per espletare tali piacevoli attività (o inattività nel caso del sonno), anche perché si rischia davvero di essere vittima dei maledetti pensieri orizzontali.
Non saprei dare una spiegazione a questa cosa, sta tuttavia di fatto che è così. Empiricamente sperimentato e suffragato da una breve ma scrupolosa indagine negli ambienti che frequento.
Certo, lo sportivo, almeno, quello che ero fino a qualche tempo fa, non ha tempo per pensieri orizzontali: è evidente che se non è a letto per fare all’amore, nel momento in cui tocca una superficie orizzontale un po’meno scomoda che non un letto da fachiro crolla seduta stante in un profondo sonno fino all’ora della sveglia, la quale si colloca sempre troppo presto, ma in altri “ambienti”, dopo una prima superficiale e ironica incredulità, vengo poi confortato, anche a distanza di tempo, per carità, non è mai troppo tardi per ravvedersi, da chi ha a sua volta “fatto caso” alla mia analisi e non può che condividerla.
A proposito di condivisione, non posso a questo punto fare a meno di pubblicare il risultato di questa faticosa ricerca in più vasta scala.
Attenzione eh, qui si tratta di alta filosofia:
I pensieri hanno una loro densità, diciamo un loro peso, quelli positivi, molto leggeri ed evanescenti, un po’come l’elio, l’aria tiepida della primavera, le bollicine dello champagne, il profumo della pelle della persona che amiamo, quelli negativi, molto più pesanti dell’aria, tendono ad andare verso il basso, di qui “levarsi un peso”, per cui, da sdraiati, per i pensieri positivi, anche da sdraiati, non cambia nulla, tendendo loro per loro natura ad andare verso l’alto, hanno comunque strada libera e possono fluttuare nell’aria indipendentemente dalla nostra posizione, quelli negativi, viceversa, più pesanti, non possono cadere a terra ed essere presi a calci e quindi scardinati, smembrati, calpestati e ridotti a non poter più nuocere, ma stagnano sul cuscino, e la nostra testa, come una spugna non riesce a liberarsene, rimanendo li a marinare all’interno di quell’insana atmosfera.
Ricordo una volta un amico a cui parlai di questa mia teoria, mi prese in giro per giorni. Naturalmente mi aspetto commenti di tutt’altro genere da lettori attenti, sofisticati, sensibili e intelligenti come voi siete, anche se so già come andrà a finire. 






martedì 8 novembre 2011

LA PRIMA CLASSE COSTA MILLE LIRE, LA SECONDA CENTO, LA TERZA DOLORE E SPAVENTO….

Quanto costerà il biglietto?
Mi riferisco al “passaggio” per l’altrove dell’attuale ma pare ormai dimissionario Presidente del Consiglio.
Si, per chi non lo sapesse ancora, dubito che ancora ci sia qualcuno, ma la mia furietudine mi impone il chiarimento, a seguito delle vicende odierne, è stata divulgata nota di Palazzo Chigi che informa ufficialmente che il Presidente del Consiglio, vista la contingente carenza di numeri alla Camera, quindi il venir meno della maggioranza, si dimetterà non appena approvata la legge di stabilità. “la crisi è formalmente aperta”, si, vero, ma? Come dicevo, condicio sine qua non per l’uscita di scena del ”premier” (Dio mi fulmini in questo momento per quanto sto scrivendo, ma era meglio quando si stava peggio e si doveva parlare italiano) è l’approvazione della legge di stabilità molto più che necessaria per mettere una pezza alla disastrosa situazione economica italiana, visto che oggi l’Italia ha rinunciato all’asta per l’emissione di BOT che vuol dure che dichiara formalmente che con questi numeri non è in grado di far fronte al pagamento degli interessi.
Bene diremmo tutti noi, considerato che lo stesso Finacial Times ha scritto chiaro che grazie al caparbio e triste attaccamento alla “vita” che nonostante i mercati abbiano prepotentemente e inesorabilmente condannato, non esitava a rimanere attaccato in dio solo sa quali maniere alla presidenza. Si, tra le righe si legge esattamente quello che pensiamo tutti, il triste attaccamento ad una situazione che non ha futuro e che porta al tracollo lui e lei, la nazione, per evidenti situazioni di comodo.
Di qui il mio pensiero, fatto di una domanda che tremo al solo alla risposta che inesorabilmente arriverà con l’approvazione della legge condizione. Quale sarà il prezzo? Cosa infileranno dentro in maniera plateale a questa ripeto indispensabile legge? Si perché pur di cacciare il Presidente da Palazzo Chigi si dovrà concedere cosa? L’immunità totale per lui, i suoi famigliari e qualcuno che Lui decida? L’invulnerabilità? Tutti i libri di storia italiani che parleranno di lui come salvatore della patria? La legalizzazione delle mafie? Perché il ricatto del me ne vado se votiamo “a scatola chiusa” tutto quello che c’è scritto in quella patetica legge già bocciata a monte dai mercati.
Il biglietto più caro della storia o qualcuno ricorda qualcosa di peggio? Ah già anche perché noi siamo il paese delle buone uscite d’oro.




lunedì 10 ottobre 2011

logica stars & stripes

Sto per fare un post noioso, poco originale e “comunista”, non postcomunista, no no, proprio uno di quelli per cui negli stati uniti degli anni 50, in pieno Maccartismo, sarei stato tacciato di socialismo e antipatriottismo.
Oggi è la giornata mondiale contro la pena di morte, niente da dire a chiunque abbia una propria opinione in merito, un po’ meno a chi invece direbbe “boh? A me che mi frega?”, ma notavo una cosa: google, che fa dei doodles, che per inciso sono quelle scritte particolari che ogni tanto ci troviamo al posto del canonico logo e che stanno a ricordare un evento particolare, doodles per qualunque accidenti di evento che manca davvero solo più il mio compleanno,la stessa google che con quella maniera partecipa a tenere viva la memoria di tutto il mondo, ecco di quello oggi non si parla.
Sarà che “siamo” americani? Gli stessi americani che continuano imperterriti a mettersi sullo stesso piano delle tanto deprecate Cina, Nord Corea, Iran, luoghi dove sogna di portare i diritti civili?
Beh, nel mio piccolo lo faccio io che non avrò tutti i contatti di google, ma per lo stesso principio di educazione civica per cui dai l’esempio quotidianamente perché l’umanità sei tu, beh:
di li indietro non si torna. 



 

.it alia

“In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.”
È che proprio non ce la si fa. Allora si poteva capire, ma oltre duemila anni dopo…
Non voglio dire che sia proprio lo stato, che tutte le volte non glie la fa, ma lo stesso giorno in cui Stanford annuncia tutti i corsi on-line gratuiti che presupporrà la gestione di oltre 140 mila contatti da tutto il mondo, le principali testate italiane annunciano il fallimento del censimento on-line.
Come già successo per la gestione dei permessi di soggiorno, già quote badanti qualche anno fa, poi ribaditi con le gestioni degli incentivi su cicli e motocicli per cui tanti venditori devono ancora percepire denaro, l’esperienza in rete dello stato italiano è disastrosa.
Sentiamo a scadenze regolari pseudo ministri sessantenni, forse il nuovo che avanza crea dei problemi di troppa repentina evoluzione, che parlano di riforme e di svecchiamento, di semplificazione, già, Calderoli ministro della semplificazione… (scuoto la testa con rassegnazione) in concertazione con Brunetta che semplifica svecchiando la elefantiaca macchina procedurale del “pubblico”, non rendendosi conto di dove stanno realmente i problemi, e cioè nelle leggi contraddittorie e complicate troppo spesso modificate, ma questo è tutto un altro post, come tocca anche a me quotidianamente dover combattere.
Faccio un esempio: c’è obbligo per legge, ripeto, obbligo pena salatissime sanzioni a chi non si adegui, di trasmettere, da febbraio, in modalità telematica agli enti assicurativi/di previdenza nonché al datore di lavoro, il certificato di malattia. Tutti i medici di base si sono assolutamente adeguati, ma secondo voi, l’ospedale di Redville si?
Ecco, bravi. Ora però mi domando, pagheranno le sanzioni? E perché lo Stato (in senso lato) è sempre così malmesso?
Per tornare al nostro bel  censimento, conoscendo le cose come stanno ho evitato di connettermi al sito. Si, un po’partenza intelligente se vogliamo, ma Clemente, il giovane anziano previdente, sapeva come sarebbe finita, o iniziata, per cui si è tenuto alla larga.
Ora mi domando, tra poco qualcuno inizierà a voler applicare una legge relativa al mio lavoro dove è prevista la presentazione on-line di una serie di documenti, e li ti voglio! Quando l’ente si riuscirà ad adeguare?

C’è qualcosa che non va, ho fatto un post e mi sembra scritto da Only…



giovedì 6 ottobre 2011

OMAGGIO

Poche parole in memoria di un uomo lungimirante.
All’uomo jobs, che si è perso e che poi si è ritrovato. Quando fu cacciato dalla sua stessa azienda fu proprio per quello, perché “esagerato”, talmente oltre da essersi perso in se stesso, poi, come sovente, il filo doppio non si può tagliare e quando fu richiamato, con la apple in cattive acque, tutti e due furono meno integralisti, ambedue figli dei loro errori tornarono ad essere una cosa sola. Un uomo che ha saputo vedere oltre, anche olre se stesso, e non è facile perché in media stat virtus, ma la grandezza sta nel riconoscerlo e farlo proprio
Oggi tutti elogiano la grande invenzione, l’ipod, l’iphone. No. il genio è stato un altro. La genialità del visionario jobs è stata quella di, in un epoca dove la tecnologia era fatta di “stanze” a circuiti ad esclusivo vantaggio delle grandi aziende, volerla rendere “personal” ovvero fruibile a tutti. Un computer per ognuno di noi. Il pirata, quello che ha visto lontano prendendo alla xerox il sistema operativo basato sulle icone (già, perché al contrario di cosa normalmente si pensa, Gates non c’entra nulla se non l’averlo inserito nel suo windows) per semplificarci la vita, quello che ha “inventato” il sistema mouse, e poi fino ad arrivare a sviluppare il concetto di stazione totale portatile, la comunicazione, lo svago, l’utilità, il tutto davvero portatile e poi con un fondamentale crisma: bello. Tutto assolutamente attento al design. Deve essere ricordato per la cosa più rivoluzionaria: per aver cambiato il modo di fruire del mondo.
E noi, blogger, rendiamo omaggio a chi ha permesso oggi quello che quotidianamente siamo.






lunedì 3 ottobre 2011

ALMOST HOLYDAY

Sono fermo da un bel po’di tempo ormai, fermo in tutti i sensi perché non posso uscire, me lo proibiscono, non posso fare alcun tipo di lavoro, questo, oltre che proibirmelo, non mi è proprio possibile, il dolore mi permette la forza di un duenne, inoltre non dormo una notte intera senza dolore da troppo tempo.
Per cui che faccio? Pensavo, mi prenderà la logorrea da inattività, e invece niente. nemmeno ho voglia di scrivere, all’inizio davo la colpa all’intontimento da farmaci, poi invece no, mi sono accorto che la ragione era un’altra, non l’ho ancora individuata, ma garantisco che appena ci riuscirò, sarete i secondi a saperlo.
Dicevo, che faccio? Leggo, passo il tempo a fare qualche lavoretto, le più elementari pulizie, tanto i tempi sono talmente dilatati che per passare il pavimento di casa non ci impiego meno di tre ore, e non abito a Versailles, insomma, me la prendo davvero comoda, infondo, che altro ho da fare?
Sembrerebbero quasi vacanze, se non fosse per…. Già, per la costrizione.
Vero, sono limitato nei movimenti, ma posso camminare, muovermi, e vi dico che per chi è abituato a due allenamenti quotidiani, a volte anche tre, a non aver tempo nemmeno per respirare, a uscire di casa alle7:30 e rientrare alle 9 ancora da cenare, ci si trova abbandonati in un mondo strano e sconosciuto, terra di mezzo per chi a casa non ha ne divano ne tv perché non ne ha mai sentito la mancanza.
Attenzione, non è il fatto di chi si trova di colpo costretto con se stesso e non gli piace: io con me stesso sto bene, mi do ragione il giusto e litigo il giusto, i miei pensieri non mi fanno paura e i fantasmi ormai sono scappati, troppa fatica starmi appresso.
No, la mia sofferenza è figlia di non poter essere nel posto giusto al momento giusto: essere dove vorrei essere con tutto me stesso e invece sono costretto qui. Si. È questo che mi fa e mi ha fatto più male, anche più male del dolore fisico.




venerdì 16 settembre 2011

SETTE PIANI

Ieri sono stato in pronto soccorso. Era una vita che non ci andavo fortunatamente. No, non fortunatamente che ci sia andato, fortunatamente l’aver potuto fare a meno del valente sistema sanitario nazionale.
Insomma, causa un piccolo incidente in bicicletta, proprio come i bimbi che cadono dalla bicicletta e li devi medicare, mi devo servire del pronto intervento.
Vivo fortunatamente in una regione con un discreto sistema sanitario per cui niente da eccepire sulla qualità, forse tranne qualche piccolo appunto sul fatto che, vista la diagnosi, mi sarei aspettato una prescrizione farmaceutica un tantino più forte, voglio dire, se mi sono procurato un trauma dolorosissimo, prescrivimi un antidolorifico di pari intensità, non un “placebo” al paracetamolo, tanto più che mi imponi di garantire la massima espansione polmonare. Perplessità avallate anche dalla farmacista, anch'essa un po’ perplessa sulle decisioni. Pace, tanto quello che ha male sono io, il medico mica sente niente.
Insomma, non è di questo che volevo parlare, piuttosto, ragionavo si come si entra in pronto soccorso, chiaro, a meno che uno non sia tritato dalla scarificatrice dell’autostrada, col male a caldo. Ecco, vedo di farvi il mio esempoi.
Entro in pronto, dolorante ma sulle mie gambe e vado in accettazione. Anamnesi completa, anche di buonanima di nonna e attribuzione del codice. Sala d’attesa, compro la mia acqua, e sorprendentemente vengo chiamato dopo appena mezz’ora scarsa. Vengo trasferito di fronte all’ingresso della sala traumatologica in attesa di un ortopedico. La capoinfermiera mi chiede se ho male, se riesco a stare in piedi e se voglio una sedia. Rispondo che bene è diverso e che non voglio dare troppo disturbo, io al limite mi accovaccio. Perplessa mi fa notare che lei intendeva una sedia a rotelle. Sgrano gli occhi mentre l’altra infermiera mi inforca con una avveniristica sedia a rotelle con superruote a tre razze che ricordano da molto molto vicino le Corima da chrono. D’un tratto mi torna in mente con angoscia quel racconto di Dino Buzzati, Sette Pani, dove un povero cristo entra in clinica, più per ipocondria che per reale malattia, e non ne esce più, spostato di piano in piano per errori, eccessi di zelo e altre cose simili. Sorrido ironicamente contemplando la mia debordante discesa verso il basso. L’infermiera se ne accorge e mi chiede come mai stia sorridendo. È inutile spiegarle, allora abbozzo un – sto trabiccolo fa tanto malato, devo proprio avere un aspetto pietoso… - mi giro e l’anziano accanto a me viene trasferito in barella, tra poco tocca ame esserebarellato? ,'anziano è arrivato con le stampelle e ora sta in barella..... un po'sgomento mi dico che devo uscire di li, presto. Prima però devo passare dal medico e, come volevasi dimostrare, entro con una serie di abrasioni e esco con tre costole fratturate.
A differenza dell’avvocato Corte almeno non sono finito al piano interrato, che poi non è nemmeno lontano dal pronto, ma io sono veloce, sono riuscito ad evadere in tempo.

martedì 30 agosto 2011

ANALISI 3 prima lezione

Partire è un po’morire, ma quanto?
Vediamo se riusciamo a tirar fuori un teorema per quantificare la dipartita provocata da una partenza?
Vediamo, allora, mi pare si facesse così.
DATI:
cosa lasciamo qui? Beh, partirei dalla casa, ma considerato che la casa è dove è il cuore, o viviamo in un caravan o lasciamo il cuore a casa, ora capisco il vantaggio di essere nomadi. Questo comporta un dolore non indifferente: pensate all’intervento chirurgico per separarsi da un muscolo così fondamentale, perché possiamo anche inserire una pompa meccanica, sarà tuttavia sempre un surrogato.
Cos’altro lasciamo? Direi gli amici. Questo è un altro serio problema perché se è vero come è vero che chi trova un amico trova un tesoro è vero il contrario, se lo lasci, lasci a casa un tesoro, e se te lo rubano? Bisognerebbe magari sotterrarlo, come facevano i pirati che poi però sbronzi di rhum non si ricordavano più il luogo esatto, anche perché le stesse mappe erano disegnate dal meno sbronzo di tutti, ma se le mappe a oggi non portano a nulla mi sa che tanto sobrio non era nemmeno il cartografo.
Poi? Lasciamo il lavoro. E questo può non essere male, certo, per chi vive di e per quello è un altro bel dramma, dover spegnere il telefono di lavoro… c’è chi è in analisi ancor oro per il solo blackout obbligatorio per la sola durata del volo.
Ancora, i vicini rompiscatole? Quelli che alle sei meno un quarto fanno partire la moto da cross targata, la fanno scaldare quindici minuti e poi partono nel momento stesso in cui suona la tua sveglia spogliandoti ogni mattina di un prezioso quarto d’ora di sonno?
Le giornate come domenica, dove ci sono quasi tutti quelli che vorresti li accanto a te a fare il tifo, a condividere i momenti belli e quelli brutti, una di quelle domeniche di sole che non finiscono appoggi la testa sul cuscino, che ti lasciano quel qualcosa dentro. Lo stesso che vedi nello sguardo di un alpinista che guarda una cima con cui ha combattuto e l’onore che ha dimostrato l’ha convinta a concedersi. Lo stesso che probabilmente avrete alla fine di una giornata di fine estate, una delle ultime che passate al mare, quella luce caratteristica, quel blu intenso del celo e quel giallo riflesso che fa brillare tutti i colori ma li rende contemporaneamente un po’più scuri. Non è malinconia, è la soddisfazione di una giornata che ha meritato di essere vissuta. Le giornate dei saluti alle persone della tua vita e che quando sono andate via ti vien da piangere.
Poi le variabili condizionate dalla tipologia del viaggio, certo se parto per sei mesi di lavoro su una piattaforma petrolifera nel mare del nord o in una centrale estrattiva del gas nella Siberia più nordorientale o ancora per una raffineria nel mezzo del deserto del Sahara è un conto, ma se la meta è una vacanza nel periodo giusto..., o ancora dalla compagnia: metti che ci vado con un rompiscatole, musone, misantropo, maniaco ossessivo compulsivo o nevrotico ansioso, eh, diventa un soggiorno alla Cayenne (non il Porsche, l’isola prigione in Guayana).
Insomma, i dati più o meno ci sono. Vediamo di capire tra loro come relazionalrli
Direi

M: quantità di morte nel cuore

C: casa
A: amici
l: lavoro
V: vicini e affini, compresi parenti noiosi fatti di suocere ecc.
d: giorni buoni o meno buoni
n: Variabili di viaggio già ponderate

M=[2(C*A)*1/l-V^3]/2(1/d*n)^2

provate ad applicare e ditemi se può andare.
Comunque, un segreto: io non devo partire, ma ora come ora ho un serio problema con una tutta vestita di nero con un arnese agricolo in mano. Maaagra e mi fa dei segni strani.
Buone vacanze.


mercoledì 24 agosto 2011

GENTE DA PISTA ovvero, ecco chi te lo fa fare al campo d'atletica con queste temperature

In pista si fanno strani incontri e anche nella più desolata delle “rotonde” di tartan, rischi di trovare lo spettacolo.
Ieri torno al Campo dopo la pausa estiva, del campo naturalmente. Ero al telefono e dopo solo pochi passi vengo ripreso ironicamente ma in maniera stizzita dall’altro capo della comunicazione da chi mi apostrofa su per giù in questa maniera: “hai fatto? No, perchè altrimenti ci risentiamo quando hai finito…..”.
In effetti ero incantato a guardare un gesto atletico meraviglioso. Allora, chiariamo che non si trattava di gnocca come già state pensando, maliziosi. In pista c’era Elisa Rigaudo, bronzo olimpico a Pechino sulla 20km di marcia, e vedendola far “ripetute” li al campo mi sono incantato. Un movimento così sinuoso, così flessuoso, non da impressione di potenza, in essuna maniera, fino a quando non si avvicina e vedi ogni muscolo tirato. È una meraviglia, sembra di sentire suonare la filarmonica di wienna, non che l’abbia mai sentita, per carità, ma è esattamente il paragone che mi è venuto in quel momento. Le movenze eleganti della vipera del deserto che sulla sabbia rovente non lascia che poche curve leggere nonostante la velocità. Ho visto gente correre, anche forte, ma forte per davvero, ho visto personalmente Powell fare sotto 10” sul cento, a Montecarlo, ho visto i tremila in pista. Ho visto correre Ghebre, ma non avevo mai visto “camminare” a quella velocità. Non so a chi di voi dirà qualcosa, ma camminare a 4’15”/km per 20km vi dico che è proprio forte, e che buona parte dei sedicenti "corridori" della domenica avrebbe dei seri problemi a tenere anche correndo tale velocità.
Poi, riscaldamento finito e chi c’era? Uno che comunque siamo molto più abituati a vedere, ma che è forse più entusiasmante ancora, perché giovane.
Binco, alla storia come Josè Reinaldo Bencosme de Leon, quattrocento ostacoli, nemmeno diciottenne o appena tale, una vera promessa dell’atletica italiana.
Questo invece va visto perché non è possibile spiegare, la velocità più pura, il “giro della morte” come viene chiamato il 400, ma a lui non basta, lo vuole più difficile, lui vuole gli ostacoli, e li vola con un eleganza unica. L’ho guardato ieri, l’ho visto fare un trecento e sono rimasto incantato. Ostacoli “da grande”, 91 cm e più, e vi garantisco che sono alti, che vengono volati così, come un marciapiede. Tredici passi e uno solo un po’più lungo, con un movimento che pare così naturale da non dare l’idea quasi di fatica. Ma la partenza, espressione pura di potenza, ogni parte del corpo si muove sfruttando tutti i muscoli, ogni movimento è studiato, al millimetro, nulla di superfluo o tantomeno controproducente, nemmeno i movimenti che sembrano casuali, ogni gesto, al contrario della corsa invece che dopo i primi passi diventa leggera, filante, ma incredibilmente proficua. È velocissimo, arriva in un nulla sotto l’ostacolo e i primi che affronta ti lasciano in apprensione, temi che sia “corto”, troppo in anticipo, invece è perfetto, un volo più che un passo e l’ostacolo è dietro le spalle e di li, altri tredici e poi ancora uno e alla via così fino al traguardo in una meravigliosa danza potente.
Guardare i fenomeni da una sensazione strana, che va oltre l’invidi, sempre quella buona eh, è un misto di stupore e ammirazione, ti sembra talmente bello e semplice che ti convinci che se ti ci metti, anche adesso, puoi farlo anche tu. Beh, non è così e loro sono fenomeni veri.
Tra poco ci sono i mondiali di atletica dove Elisa dovrebbe marciare e Binco, che testa, è veramente di una simpatia contagiosa, andrà a Zurigo. All’interno della “Diamond Ligue” ci sarà una gara per gli under 23, liu che nemmeno 18anni o forse appena a poco più di mezzo secondo dal minimo per le olimpiadi, a 2 secondi da quelli veri li inmezzo a quelli veri, sullo stesso tartan di un certo Bolt, l’uomo più veloce di sempre.

MR.RED THE MAGICIAN

è una delle cene a cui ho partecipato con più piacere in assoluto. La metto serenamente sul podio.
Si perché ieri sera tutti insieme invitati chez Pm per una cena. Ricordate? Pm, il protagonista del capodanno, ma si, ne scrissi, MR. RED L’ALTRUISTA , ricordate?
Ho il brutto vizio di partire sempre dal mezzo per raccontare. Dunque, mettiamo un po’d’ordine.
Ai miei quattro amici, quelli a cui sono più legato, non quelli che ho momentaneamente lasciato perché la vita ci porta per strade diverse, ma quelli con cui condivido molto, gioie e sofferenze di un mondo complicato come quello sportivo, si perché noi lo sport lo facciamo per ridere, ma poi non è che si ride proprio sempre. Dicevo, ai miei quattro amici, regalai, era il lontano natale 2009, una bottiglia di champagne cadauno. Su ogni etichetta scrissi una dedica.
Ad Alex che sarebbe servita per festeggiare Kona, il campionato del mondo di ironman. A luglio 2010 Alex a Zurigo centrò lo Slot per Kona.
Al Maestro scrissi che sarebbe servita per festeggiare, l’anno dei suoi 40, i centomila chilometri di corsa. Obiettivo centrato a fine novembre.
A Bicio scrissi, l’anno del debutto nelle lunghe distanze, che serviva come rampa di lancio per la ciucca del dopomezzoironman. Manca la ciucca, ma il mezzo lo fece a Candia.
A Pm, scrissi che la sua sarebbe stata da bere in compagnia di una donna che lo meritasse.
Ieri sera, come già detto, cena. C’era Alex con la spalla rotta (addio mondiale di mezzo a Las Vegas), c’erano i bimbi ora non più tanto perché il grande manca solo più che ci suoni di corsa poi è già più forte in tutto, c’era Bicio che come al solito mi butta li cose e mi sconvolge i piani, beh, c’ero io accompagnato in spirito, e poi naturalmente Pm con la signora Pm, non la Boccassini eh.  Si, perché Pm è tendenzialmente un tantino “rigido?!”,  si, non esattamente integralista, ma diciamo molto conservatore, per cui restio al cambiamento, per cui a lui non è bastata la magica bottiglia, no, lui ha voluto un capodanno tutto per lui e auguri sinceri che la trovasse la “sua” felicità. È stata dura, ma alla fine la magia RED ha fatto il suo corso.
Meraviglioso, guardavo ieri sera la novella signora Pm, scalza, mi ricordava qualcuno, con quel suo modo di fare elegantemente lento, la sua voce bassa che ti obbliga a prestare attenzione. Vestito leggero e scuro, muoversi sicura per casa, poi guardavo lui, meno elegante, in effetti va detto che in quello difetta un poco, ma non importa, mica tutti possono essere maestri di buon gusto e di modestia come me. Dicevo, guardavo lei, guardavo lui, e guardavo tutti e due. Guardavo gli altri amici e alla fine un ghigno ironico mi ha rigato il volto: “Bel lavoro Red”, perchè mi sorride l’idea di aver messo un po’ del mio spirito a far si che tutto questo riuscisse. Mi serve. Ora aspetto la mia, vediamo se vale tanto, visto ci ho investito su una discreta cifra….





martedì 16 agosto 2011

ONORE AI VINTI

Do dolorosa notizia della prematura dipartita di un compagno di allenamenti, di più, di un fratello.
Anni vissuti faticosamente, duramente, condividendo allenamenti intensi, al caldo più torrido e umido come al freddo più pungente, sotto la pioggia, nella nebbia, sotto la neve. Le gare, vittoriose come le più sofferenti.
E di colpo, mi lasci così, solo, per le strade del mondo senza più i tuoi riferimenti, senza più la certezza di averti li.
Seppellirò le tue ceneri la dove anche i campioni hanno calcato i passi, perché questo meriti.
Addio amico mio. Le lacrime del guerriero che perde un compagno d’armi, quelle che non vedi ma che rigano come stille di sangue rovente il volto già segnato di chi come noi ha sofferto.
Addio compagno di mille battaglie, sopravvissuto a ben più cruente guerre per cadere in quell’ameno specchio d’acqua salmastra.
Ti porterò nel cuore, al polso, per sempre.

DI SOLDATINI E ALTRI CAPRICCI

Questo finesettimana mi ha lasciato l’amaro in bocca.
Vedo già i sorrisetti maliziosi e curiosi sulle vostre facce. Pettegoli!
E invece è così.
Io adoro la classica grigliata tra amici, non in se per il cibo, che è buono, ma per quello che è l’ensemble della festa, il contesto per intenderci. È da quando mi facevo le uscite lunghe in bici di allenamento per l’ironman e poi durante le granfondo ciclistiche, gare di lunga distanza anche oltre i 150 km, sovente con notevoli dislivelli, dove passi in certe ore del giorno e senti quel profumino e tu sei li che hai pasteggiato a barrette gusto “cacca”, che per buone che siano alla terza non ne puoi più, che ho quella “voglia” da puerpera di grigliata mista accompagnata da verdurine, formaggi, vino e magari qualche birra. Sono persino disposto a far da chef e spargere il mio intingolo speciale su un intero costato o su un filetto anche lui tutto intero, o su qualche costata tagliata bella spessa, su qualche aletta di pollo, in quanto chef, curarmi il pezzo migliore e…. naturalmente l’aperitivo lungo, perché lo chef da brace vuole tanta benzina; accanto al fuoco si sa, si perdono molti liquidi e tocca reintegrare.
Divagazioni.
Voglia di grigliata, dicevamo e più volte palesata. Per cui mi era stata promessa una microgrigliata durante il finesettimana. Ecco, sono stato deluso. Si, deluso. Mi era stata promessa, già ridotta peraltro a una entrecote francese che per buona e grande non è che un blando surrogato del menu Flinstones che intendo come grigliata, e non l’ho avuta. Causa le sopravvenute questioni tecniche (sforato i tempi causa allenamenti N.d.R.), niente.
Letta la mia delusione nel saltare anche questa volta la mia agoniata pantagruelica abbuffata
I miei “soci” di week end, hanno acconsentito a trasformare quanto sopra in una cena in brasserie. Ok. Meglio che un calcio ma sempre più lontano.
Quindi, si entra in brasserie e con mio sommo sconforto, scopro che la più grossa bistecca non è che da due miseri etti. No. È un quinto del volume di carne che per me è una grigliata appena accettabile. Ero proprio deluso. Natale senza regali.
Altro aneddoto. Volevo la mia bella suite da competizione, uno spettacolo, neoprene sottile, legale per kona, una roba che rendi i 15 in acqua, e cosa ho avuto? Ricordati che …. E anche li cedo. Niente body da gara. Sarà per il prossimo anno.
Non finisce mica qui eh.
Volevo i soldatini, il nebbiolo Occhietti di Renato Ratti, io lo chiamo soldatini perché sull’etichetta ci sono effigi di soldati della vecchia armata sabauda, qualcuno durante la spesa non me l’ha lasciato comprare. Ieri sera a cena, leggo scritto in carta “Nebbiolo Occhetti”, badate bene Occhetti. A questo punto chiedo, posso avere i miei soldatini? Strappo una tirata risposta affermativa, finalmente, peccato però che era un altro vino. Come se voi chiedeste di Andrea e ci fosse un altro che si chiama Andriea. Morale, non era quello che volevo. Ottimo, meraviglioso, gran vino, ma non erano i soldatini.
Insomma, quasi mi viene da essere arrabbiato.
Ora veniamo finalmente a quello che volete leggere, perché volete il sangue vero? Iene.
E bene, non lo avrete. Un finesettimana meraviglioso, tolto qualche problema alla Redmobile, nulla di grave. Un po’di allenamento, divertimento, e un triathlon da vedere, certo, aver trovato il pettorale per il Corta Distanza, sarebbe stato magnifico, l’avrei fatto con piacere. Comunque ho nuotato, ho corso, sono andato in bicicletta, ecco questi ultimi due un po’più lontani dalla magnificenza di un po’di tempo fa, ma fatto in compagnia assume tutto un altro sapore, come quello della mia grigliata mista, ma non quella amara che non ho avuto, quella che ho vissuto in questi giorni innaffiata dall’intera armata rossa. Davvero meraviglioso.

martedì 9 agosto 2011

EH, SE TI DICO CHE PAGO IO….

08/08/2011.....
Quando uno è… come dire… me.
Periodo di inerzia, poca voglia di fare, di allenarsi e infatti la forma ne risente. Ben conscio della precaria condizione fisica mi è stata proposta una piccola gara promozionale, e che fare? Accettare naturalmente, nonostante il posto ameno. Infatti lo conosco per due ragioni, una di queste è che avevo una morosa che aveva una casa proprio li, e l’altro è che fino all’anno scorso la gara era su distanza “sprint” e ricordo perfettamente che non mi era piaciuta, infatti ricordavo un nuoto in un lago fangoso, no, non fangoso, melmoso, una zona cambio lunga e piena di ghiaia, roba che nei cambi ti triti i piedi, premi scarni e un tracciato ciclistico ti estrema fantasia: pronti via discesa, discesa, discesa per 10km, giro di boa e rientro con salita, salita, salita. Insomma, una catastrofe salvata dal percorso a piedi che era quantomeno accettabile.
Se pare difficile far peggio, con perizia e abnegazione, un margine sembra sempre esserci e infatti quest’anno ce l’anno fatta. Quando mi è stato proposto di andare ad Osiglia, ripeto, ho obiettato con le considerazioni di cui sopra, e voi direte, a tornare c’è da esser scemi, no? E infatti, da me che vi potevate aspettare?
In realtà l’ho fatto per una ragione che poi spiegherò meglio, ora recensisco la gara. Il lago è naturalmente sempre quello, per di più sabato col cielo di un colore che ho visto solo su qualche berlina tedesca di alta cilindrata, sembrava molto vicino a quel ramo del lago di Loch Ness che volge a… no, non a mezzogiorno, più quello a nord. Frazione di nuoto contro corrente con risalita nel fango, si, l’uscita dall’acqua quasi all’australiana ma non dal pontile, dalla fangosa riva, l’acqua non fredda ma lurida, avevo pezzi di cose ovunque. Già Candia lascia a desiderare, ma li riesce a esser peggio
Devono poi aver ascoltato le lamentele per la zona cambio, e anno pensato di metterla su sterrato fettucciando una zona su un prato a bordo acqua, peccato che per arrivare a salire in bicicletta si doveva transitare per una stradina sterrata per circa 200mt, salire in bicicletta prima di una salita ripida e sporca di ghiaia per fare il solito tragitto ciclistico anda e venanda di salita e discesa, cercando poi di ricordarsi che prima di scendere dalla bicicletta si sarebbe dovuta affrontare la rampa ghiaiata del garage. Ma non è finita li, i trespoli che hanno usato per tenere in piedi le biciclette hanno ceduto. Qualcuno si è trovato dei danni al mezzo, altri, me per esempio avevano la bicicletta in terra, coricata, che teneva su lei il trespolo. Biciclette troppo vicine tra loro… il tracciato contorto, l’arrivo della frazione podistica proprio al termine della citata rampa di asfalto ghiaiato, con rischio in caso di volate di voli a faccia in giù. Insomma, un disastro su tutta la linea, compresi i pasticci sulle classifiche. Non oso immaginare con l’olimpico del giorno dopo.
Se già Arona era bocciato, questo a scuola nemmeno lo si ammette.
“potrebbe esser peggio – e come?! – Potrebbe piovere” ecco, almeno quello, almeno non ha piovuto, anche se ci ha provato davvero con tutte le forze, perché quella discesa con il fondo bagnato e la bici che frena poco mi sa che tanti si sarebbero ammucchiati al secondo tornante, ma grazie al cielo questo non era nelle facoltà dell’organizzazione, per cui, salvi.
Comunque, meno male che ci sono andato per altre ragioni da quelle di far risultato e... Ecco, a proposito di questo, se uno prende e viene apposta per fare l’accompagnatore in gara, oh, sia ben chiaro, niente scorrettezze o facilitazioni, come quell’altra che ho dovuto staccare dalla mia ruota, solo qualche suggerimento, compagnia e incitamento, non lo devi cacciare dicendo che ti senti in colpa: son venuto apposta! È come quando ti offrono un gelato, da bere, una cena: si presume fatto con piacere, di una testa di legno che non sei altro. La prossima volta mi offendo eh?!



giovedì 4 agosto 2011

FILO D'OPPIO

Premessa (inizio): prometto che per un po’farò solo più post spassosi e divertenti, leggeri da leggere e/o che invitano al confronto, magari di rottura, provocatori, curiosi, ma il mio “tentato ritorno” deve essere una chiara e netta immagine della persona malata che si nasconde diero il faccione provocatorio del felliniano Albertone ombrellaio. Premessa (fine)

L’eroinomane, quando è “fatto” o meglio, quando non ha bisogno di dover cercare “roba” è disposto a pensare smetto. Il problema è quando poi ti manca, quando inizi a sentirne il bisogno sia fisico, e in quel caso principalmente, sia mentale-psicologico.
Ecco, se qualcuno di voi ha mai preparato una gara lunga, una maratona per esempio, parlo preparata per fare il tempo, non solo per arrivare sotto il traguardo, sa che all’inizio ti devi trattenere, sei abituato a ritmi ben più veloci ed impegnativi, le gambe vanno da sole e tendono ad assestarsi a ritmi più veloci di quello che è il passo medio da tenere, si tende a bruciare l’aria, sei carico dell’adrenalina da gara, sei fresco e riposato e ben preparato. Ti trattieni, poi assesti il passo sulla media che conti di tenere, quella che ti dovrebbe portare al traguardo nel tempo che ti sei prefissato. La parte dura è l’ultima. Tra i corridori ad esempio è famigerato il cosiddetto “muro” del 33 (che non è quello accanto a cui il medico ti visita). comunque tu sia preparato, li intorno ci sarà sempre un calo, che sia 33, 35, insomma, te lo devi aspettare.
Poi si arriva al traguardo, felice dell’impresa o semplicemente contento che sia finita, spesso vien da dire che forse non è il caso di ripetere l’esperienza e che tutto sommato si potrebbe anche sopravvivere senza. Il pensiero è insistente. È li, granitico, inamovibile nella sua semplicità. “basta”. Ma poi… poi subentra qualcosa, un meccanismo mentale strano che ti fa ridimensionare i momenti duri in cui l’idea di dire che basta così, perché il cervello umano è una cosa strana, tende ad addolcire i momenti dolorosi per autotutela e il tempo fa il resto. Senza contare che poi la passione, l’endorfina che rilascia, il senso di appagamento, come dire, non c’è carta che valga, neanche quella nera. Perché io so che a tutti viene il dubbio, per innamorati che siano della cosa, che “questo è l’ultimo”. Succede con gli Ironman… persino a gente molto più forte di me, gente da “mondiali” per intenderci, e poi? Che succede? Che inevitabilmente si torna li, a perseverare, ti riscopri testardo, sofferente e ostinato a ricominciare da capo. Gli allenamenti, quelli in compagnia e quelli duri da solo, non un momento libero perché tutto il tuo pensiero è li, verso quell’unica maledetta dolcissima meta. Non puoi più farne a meno, è più forte anche della razionalità che ti porterebbe a dire di smettere, che non sei stato condannato per orribili efferati crimini contro moltitudini di piccoli individui inermi e indifesi, ma niente. Li. A battere e ribattere su quel maledetto chiodo, senza poterne fare a meno, immaginate di picchiare con un martello completamente di ferro su un’incudine, forte, più forte che potete, ogni colpo vi da una vibrazione dolorosa, persino il suono vi infastidisce, ma appena smettete vi manca quella sensazione di formicolio che si trasforma quasi in un piacere, e allora continuate a battere, a picchiare, sempre più forte.
Ecco. Questo significa. Legati a filo doppio, perché nonostante tutto io tornerò sempre e lei pure. Senza non sappiamo più stare, io e lei. E non che non ci si provi, come dicevo, ogni volta  vien da “pensare questa è l’ultima, poi basta”, tu ci provi perché sei stufo di star male e lei fa di tutto per non farsi raggiungere. Balle. È inutile raccontarsela, se vuoi puoi e noi alla fine vogliamo perché senza non si sta. Quell’accidenti di filo che ci lega a vicenda sembra solo in flebile soffio di seta, una tela di ragno ma in realtà scopri che nemmeno il titanio è più resistente e che a un certo bel momento tanto vale assecondarlo, che tanto senza… si potrebbe anche morire.

venerdì 8 luglio 2011

… SU DISCOVERY CANNEL


COME FUNZIONA sarebbe il titolo.
Ecco mi capita sovente di sentirmi dire che non funziona così. A voi no? A me in continuazione, e la cosa divertente è che siamo sempre noi ad aver sbagliato l’interpretazione.
Mi piacerebbe pubblicare una serie di “fascicoli periodici” per definire le mie istruzioni d’uso, mica tanto per gli altri, ma principalmente per me, perché alla fine aiuta un bel po’avere il polso di quanto uno è squilibrato, e poi, non in ultimo, prendere coscienza per aiutare quelle povere persone che per forza o per amore si vedono costrette a relazionarsi con me.
Che bel proposito! Peccato che come quelle migliaia di altri progetti che vengono iniziati e non arrivano mai nemmeno alla fase embrionale di una proto applicazione, come quelle splendide raccolte in comodi fascicoli settimanali tipo “imparare a degustare i the del mondo” che con la prima uscita regalano li cucchiaino da the della Regina d’Inghilterra e due bustine di preziosissimo e rarissimo the al gusto bastoncino a soli un euro e novantanove.
Per cui, cominciamo.
Lesson one: non funziona così.
Riprendo l’incipit del post proprio perché oggi mi preme particolarmente chiarire il concetto della regola applicata, ovvero, sono uno di quelli che le regole le subisce. “Io sono così”, “con me funziona così”, “col rosso non si passa”, “l’orario è dalle alle”, poi quando mi ci troco io a dover mettere delle regole e a farle rispettare, mi trovo nella condicione di dover affrontare il disappunto, a volte appena celato, a volte nemmeno troppo, se non la rabbia di chi le deve subire. Questo mi indispone. Io ho in animo sensibile, vorrei rendere tutti felici.
Allora? Questi sorrisetti increduli? Scagli al prima pietra (scenica, di quelle di polistirolo come i mobili di balsa dei vecchi western all’italiana fatti di cazzotti e saloon distrutti, che sono sicuro, ma tutelarsi è buona norma) chi ha da obiettare!
Bene,.
Dicevo, ho un animo sensibile e mi faccio intenerire, per cui chiunque bussi alla mia porta ha attenzione, anche fuori orario, anche a scapito di una mia sodomizzazione da parte del “sommo sacerdote nero”.
Detto questo, dove intendo arrivare? I buoni propositi si fanno a inizio anno e ai compleanni ed io sono lontano da ambedue, solo mi piacerebbe avere un po’ più di temperamento in modo da imporre… imporre, non proprio imporre, ma far si che la mia parola conti qualcosa, almeno quando riguarda me.
Misure: da ora in avanti mi propongo fermezza: “con me non funziona così” sarà il nuovo motto.
Fino a domani, come sempre.


lunedì 4 luglio 2011

LE STRISCE

Le lacustri acque d’Orta hanno visto ieri l’eroica partecipazione da parte di una compagnia di personaggi, chi nuotatore, chi un po’meno, alla grandiosa manifestazione natatoria consistente nella traversata del lago medesimo.
Divertente. Mai fatto una cosa del genere. Si, il nuoto in acque “libere” lo conosco per, merito(?) Causa(?) delle gare di triathlon, ma una cosa così non l’avevo mai fatta.
Da non nuotatore puro mi aspettavo una disfatta su tutta la linea, invece non sono poi così deluso. Tutto sommato è andata bene.
Non volevo autoincensarmi però, volevo parlare di questa strana cosa che è della gente che si lega con uno spago una palla gialla alla vita e al via parte per andare da una parte all’altra del lago. È una visione romantica, d’altri tempi di una competizione. Si avvicina molto allo spirito della corsa su strada o della bicicletta: “pronti? Via!” e il primo che arriva là ha vinto. In piscina è diverso: in atmosfera controllata  è diverso che in acque libere.  L adinamica è questa, ma i particolari… ognuno è stato fornito di opportuna boa di segnalazione gialla, per cui, essendo che in lago è più difficile che in mare alzare la testa per avere una direzione, io facevo riferimento a chi era intorno a me, dove più c’era del giallo io mi dirigevo, sempre con la speranza che non fosse il galeone dei pirati coreani che mi portava nel Mar della Cina. Mi sono trovato come al solito un po’ spostato rispetto alla boa di virata, rossa e non gialla, cosa che normalmente si fa per renderla più visibile, pecca dell’organizzazione, forse l’unica insieme al fatto che sarebbe utile dotare gli atleti di chip per  i tempi, la gente ha piacere di avere una classifica, più per curiosità che per reale spirito di competizione.
Strisce pedonali che in acqua diventano boe di segnalazione che tutte insieme fanno una curiosa striscia gialla di prodi temerari nuotatori e quasi strisce a fumetti di una gara promozionale di triathlon fatta sabato.
Prendo la bionda sorella e la accompagno al debutto nella triplice. Che emozione per lei, è una distanza talmente irrisoria che si fa tutta d’un fiato: 425mt+13km+3000mt.
Devo dire mi piaceva vedere la Bionda li, alle prese con la sua malcelata agitazione mentre io curiosavo la zona cambio e gli avversari.
Era una gara che fondamentalmente è organizzata dalla mia squadra come “gara sociale”, che va benissimo per un debutto, una cosa così, per passare il tempo, ma con tanto di controllo antidoping.
Beh, vi risparmio i dettagli, ma tutto questo per dire che il tutto si trasforma in una striscia animata. Io, che causa foratura, perdo un monte di tempo, devo riparare la ruota ma lo faccio con estrema calma, tanto, in 12 km che pretendi? Gara finita. Per cui riparata la ruota, riprendo la via del rientro, poso la bici con calma, cammino in zona cambio, Il presidente organizzatore (non quello operaio) mi chiede “hai forato?” si. un chiodo storto e arrugginito… mi chiede “che fai? Corri?” rispondo “se mi aspettate….”; “vai solo!”. Non me lo faccio ripetere, metto le scarpe e volo in un 3000 a palla di fucile. Risultato? Ultimo a 4 secondi dal penultimo (potevo finire molto bene). La bionda?  la bionda, debuttante, prima delle “femmine dilettanti”.
Ho riso metà del pomeriggio, appena passata la rabbia della foratura, si intende.


lunedì 27 giugno 2011

Titolo: E SPERIAMO CHE SIA L’ULTIMO. Sottotitolo: che con sta storia hai già ben tritato

Questo sarà un post noioso, nonostante vada a cercare di renderlo il più interessante possibile conosco già il risultato.
Mi piacciono le autocelebrazioni, sono sintomo di autostima e soddisfazione per un risultato raggiunto, sono espressione di gioia. Mi piacciono, ma non fatte da me. Di mio preferisco godermi il reale valore di quanto ottenuto, cercando di darne il reale peso in oro.
Ieri, come ormai sanno tutti quelli che frequentano queste pagine, ho fatto una gara.
Sono perfettamente consapevole del fatto che alla lunga stufa sentire sempre e lsolo parlare di certi argomenti, di dubbio interesse peraltro, ma io poi non credo ne parlerò più.
Una fredda analisi sul fenomeno? Si. le più interessanti sono sempre così.
Cosa porta duemilacinquecento persone a pagare una notevole cifra, allinearsi un bel mattino d’estate su una spiaggia sassosa del sud della francia, e al suono di una tromba entrare in acqua per cercare di percorrere a nuoto una notevole distanza tra pugni e calci, per poi correre a prendere una bicicletta, percorrere una notevolissima distanza fatta di colli da oltre millecento metri di dislivello, posare la bicicletta e al sole delle 14 circa, correre una maratona?
Ma naturalmente il premio!
Ah, no, poi c’è ancora uno zainetto.
Eh?! Anzi, a dire la verità quella rossa è in regalo personale di mia sorella.
Ecco che cosa porta un manipolo di squilibrati e di squilibrate, perché, donne, non crediatevi immuni da questa cosa, a mettersi in condizioni fisiche disastrose dopo allenamenti estenuanti e spese folli in attrezzatura costosissima.
Si, è esattamente per il premio, e grazie a questa esperienze, oltre che a un ustione ai piedi, ma quella è marginale, ho vinto un camion di felicità, perché poi, tutto sommato, quello che conta è condividere le cose con chi ami. Ho vinto amici che mi hanno fatto imbocca al lupo sinceri nonostante qualche incomprensione,  ho vinto persone innamorate dell’impresa, che per inciso non è quel granchè (se avete un giorno intero da dedicare a voi stessi, potete cominciare a prepararvi) ho vinto i pregiudizi verso chi ritenevo una dei tanti e perché no, anche un po’antipatica, soltanto parlandoci assieme. Ho vinto la “mia” città tirata a lustro, piena di gente, con i progetti del recupero delle piazze finalmente finiti, ho vinto una conferma, la mia biondanonvedente, ho vinto la commozione per un amico con un sogno infranto che meritava di realizzare molto più di me e ho vinto una certezza dal sapore unico, la più meravigliosa delle certezze.
Pochi o nessuno di voi potrà mai immaginare la gioia che ho provato in questo finesettimana, parlo della gioia inarrivabile di un momento da fermare nel tempo, quelli che vorresti congelati nel ghiaccio come il disco volante de l’Era Glaciale e che vorresti poter trasformare nella quotidianità.
Grazie a tutti, a chi legge e a chi no. Ho avuto tutti nel cuore, ed è per questo che sono andato così piano, pesate parecchio.






sabato 25 giugno 2011

GIOIELLI

Adesso é vero perdavvero

lunedì 20 giugno 2011

PAURA E DELIRIO A LAS VEGAS (ma Las Vegas non c’entra)

Non vi prende mai quello strano meccanismo per cui vi ritornano alla mente aneddoti strani della vostra vita, non è esatto, strani non gli aneddoti in se, ma strano il contesto apparentemente incoerente in cui li riesumiamo?
A me è successo prima, mentre guidavo e rientravo a casa con un albero in macchina.
Mi è tornato in mente quando ho imparato ad andare in bicicletta, dico davvero imparato, come i grandi, senza le rotelle.
Ecco, mi ricordo, avevo un bici con la sella lunga, arancione, mi ricordo cha abitavo già li a redville, nella casa che è tutt’ora dei miei genitori. C’è una strada che costeggia la piazza e che collega ina lunga via con il cancello bianco di metallo che allora era arancione antiruggine ma era già quello, una strada di cira cento metri. Quasi all’inizio della strada, il secondo edificio della via, ha al piano terreno dei negozi, al tempo c’erano la posta e una ferramenta e mi ricordo che la proprietaria della ferramente, Ester, allora possedeva una Dyane 6 arancione.
Ricordo che mio papà mi tolse l’ultima rotella, quella che funzionava, da allora ne fui sempre sprovvisto salvo rari casi, pattinando, la tose cin due chiavi da 10 e il mio bolide d’un tratto fu libero.
Ricordo che glie lo chiesi io perché ero stufo di essere un bambino piccolo, ero stufo di non riuscire a passare tra i cordoli delle aiuole e i muri delle case, nei passaggi stretti, volevo essere libero di andare dove mi pareva, volevo essere felice di fare le cose da grande.
Ricordo perfettamente, in maniera assolutamente nitida e stranamente in prima persona le parole di mio padre che mi diceva “vai fino alla macchina arancione e poi giri e torni indietro, per nessun motivo arriverai alla cabina del telefono”. Si perché ho omesso che all’angolo della strada c’era e pensate, ancora c’è una cabina telefonica, la stessa dove imparai a telefonare gratis col filo di ferro.
Salii in bicicletta e partii, non so se feci venti metri, ma so esattamente cosa successe: un volo memorabile, estate, pantaloncini e maglietta, un corpicino di un bimbo che raschia sul grigio asfalto. Com’era duro, com’era ruvido e come bruciava la ferita. Sanguinavo e non so se piangessi, credo di no, l’unica cosa che ricordo fu la paura. La paura che d’un tratto mi assalì io sanguinavo e vedevo impossibile fare quel passo, imparare la magica arte dell’equilibrio su due ruote.
Papà mi rimise in sesto la bici che intanto aveva il manubrio tutto storto, io ero già in piedi, non sono mai stato giù, mai, forse una volta sola, ma lì è un’altra storia, sempre impiedi, anche col piede rotto, anche con la clavicola rotta.
Avevo paura, non volevo continuare, ma qualcosa mi spingeva a rifarlo. Riprovai, questa volta arrivai fino alla Dyane, ora si trattava di fare la curva, una bella inversione a u.
Niente un volo peggio di prima. Ricordo che i freni erano durissimi, non avevo la forza di tirarli, comunque di nuovo interra sul caldo asfalto di un tardo pomeriggio di inizio luglio.
Venni ripescato, più di me il mezzo che poveraccio stava patendo le mie stesse pene, ma lui era più duro, non si lamentava e soprattutto non sanguinava: avevo le ginocchi, i gomiti in uno stato pietoso.
La paura si faceva sempre più forte non volevo più saperne, però riprovai ancora. Altro volo, quella curva era impossibile da fare, come accidenti era possibile?
Più continuavo e più avevo paura, nemmeno lo spavento di qualcuno sotto il letto era così forte, nemmeno… nulla.
So che a un certo punto mi pare di aver pensato qualcosa del tipo “io non voglio avere paura, non mi piace”. Non cambiò molto, intendo nella riuscita delle lezioni di ciclismo, credo però che al decimo , dodicesimo tentativo imparai come fare.
Non avevo più paura, ormai avevo male,, ero un cencio sporco di sangue e ricordo tutt’ora il dolore delle cure, ricordo quanto infinitamente bruciasse, ero sul balcone di casa a farmi medicare, quello che da su quella stessa via e guardavo quella maledetta macchina arancione che in due o tre occasioni avevo mancato di poco finendo a terra contro la strada.
Ce l’avevo fatta. Oggi mi rendo conto della conquista di quel bambino che quel giorno diventava un bambino grande, quello stesso bambino grande che si farà pieno di crosti domenica prossima per diventare uno stupido bambino grande.
Morale? Non è una questione di paura, la paura puoi smettere di averla non pensandoci, lei non ci sarà più perché quello che ignori non esiste. Ma quanto cazzo è difficile! Mica sempre ci si riesce.